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Toponomi di Valtellina e Valchiavenna

Proponiamo in questo approfondimento un viaggio all'interno dei toponimi della Valtellina e della Valchiavenna, con un particolare riguardo per il territorio a noi vicino: Aprica e Teglio.

TOPONIMI DI VALTELLINA E VALCHIAVENNA

Che la Valtellina si chiami così perché sia una valle “spaziosa”, che Bormio significhi “ribollente”, Tirano “terreno asciutto”, Andevenno “margine degli dei inferiori” e, al contrario, Albosaggia “ricerca del mondo superiore” forse non tutti lo sanno.
Eppure queste informazioni – somministrate anche al di fuori di un contesto puramente tecnico e glottologico – possono contribuire a fornire una maggiore “consapevolezza” nel cittadino valtellinese e valchiavennasco.
Ebbene proprio la provincia di Sondrio conosce in questi anni una fioritura di studi toponomastici che la colloca (con Bolzano, Trento e il Piemonte montano) all’avanguardia della ricerca in Italia.
Le indagini etimologiche toccano la questione delle origini etno-linguistiche e in particolare del ruolo dei Celti, l’insieme di popoli indoeuropei che, nel periodo di massimo splendore (IV-III secolo a.C.), erano estesi in un'ampia area dell'Europa, Italia compresa.
Ebbene anche in Valtellina le origini celtiche a livello linguistico (la glottologia indoeuropea studia la preistoria delle principali famiglie linguistiche dell’Europa, tra cui il celtico, e dell’Asia centro-occidentale) paiano aver avuto un influsso determinante nell’origine dei nomi delle località.
Sul tema interviene ora uno studioso di preistoria indoeuropea, Guido Borghi dell’Università di Genova, con due tomi su “Continuità celtica della toponomastica indoeuropea in Valtellina e Valchiavenna” (Idevv, 2009), presentati a Teglio settimana scorsa in occasione dell’incontro annuale dell’Istituto di dialettologia ed etnografia valtellinese e valchiavennasca.
Secondo lo studioso che prima dei Romani gli idiomi parlati in Valtellina fossero celtici è dimostrato dalle iscrizioni funerarie di Tresivio e Montagna, oggi interpretate come domande sulla morte, nella stessa lingua delle epigrafi leponzie e galliche in alfabeto di Lugano e di quella di Castaneda in Val Calanca.
Ed è proprio grazie alla ricerca di Borghi che possiamo capire cosa significano i nomi delle località in cui viviamo.
Vi proponiamo qualche esempio – grazie alle informazioni gentilmente concesse dallo studioso – anche per stuzzicare la curiosità di valtellinesi e valchiavennaschi.
A livello toponomastico, come la pianura transpadana e i laghi presentano centinaia di nomi gallici, così in Valtellina e Valchiavenna sono diagnosticamente celtici l’antico nome dello Spluga (Taruessedum “che ha (spazio per) carri (tirati) da buoi”), Madesimo (“ottimo”), Samolaco (“il più alto lago”), Verceia (“sopra le colline”), Dub(l)ino (“stagno scuro”), Mantello (“che ha gran quantità di spazio”), Cino (“che ha ghiandaie”), Cercino (“fortino degli impetuosi”), Traona (“abitata”), Mello (“colle”), Tartano (“secco”), Ardenno (“cima alta”), Berbenno (“corno corto”), Chiuro (“chiaro, puro”), Sernio (“prato”), Lovero (“splendente”), Mazzo (“molto buono”), Bormio (“luogo del ribollimento”).
Pressoché  ogni comune della provincia ha toponimi preromani, in totale più di duecento, tra cui molti idronimi (tra i più famosi Adda, Mera, Liro, Bitto, Masino, Livrio, Mallero, Rogna, Ron, Ambria, Armisa, Roasco, Frodolfo, Braulio, Spöl).
Una certa frequenza hanno le serie caratterizzate dai suffissi o suffissoidi -asco, -asca (diminutivo o di appartenenza), -oggio / -aggia (possessivo), -one, -ona (“fiume“), -ate, quest’ultimo da interpretare, nella maggior parte dei casi (specialmente quando è in unione con un nome di fiume, come in Lambrate, Brembate, Seriate), nel senso di “guado”.
I toponimi in -ate “guado”, la cui celticità (già evidente a livello lessicale e di sviluppo storico-fonetico) è confermata dal fatto che ricorrono in Irlanda (a ordine inverso degli elementi: Novate = Ath No), devono esser stati coniati, come toponimi, in epoca indoeuropea, prima del IV millennio a.C. (se fossero più tardi si avrebbe -oggiate anziché -ate).
Anche Briotti (Ponte) “estensioni di Ponte / sul monte” è di antichità indoeuropea (altrimenti suonerebbe *Briòdani), così pure Zebrù “dal mormorio del fiume”.
Tale datazione va estesa, per ragioni morfo-lessicali, semantiche e topografiche, all’intero strato preromano, inclusi toponimi descrittivi come Chiavenna (“sul cono di deiezione”), Bema (“colpo”, per i fulmini), Talamona “fiume (cono) di terra”), Buglio (“vasca, fonte”), Lanzada (“sufficienza di terra”), Bernina (“(alpe) del Passo”), Grosio (“(luogo) delle incisioni”), Trepalle (“passo con abitazioni”) e il nome della Valle, Tellina “spaziosa” (particolarmente a valle di Teglio “(del) tiglio”).
A quanto risulta dai nomi di luogo, perciò, i Valtellinesi preistorici parlavano dialetti indoeuropei da cui sono nate le lingue celtiche locali (leponzio, gallico) e qualche varietà arcaica (orobico, ligure).
Ogni indizio di altre famiglie (per esempio, il termine baita) risulta, a un’analisi più dettagliata, indoeuropeo-celtico.
Di origine preistorica paiono anche i confini delle comunità locali, come presupposto da Morbegno “trasgressione del confine” del Bitto tra i cantoni di Olonio e Ardenno (ed esteso a Desco “destro”, sulla sponda destra dell’Adda), Andalo “non spartito” (tra Delebio e Rogolo), Sondalo “compartito” (tra i cantoni di Mazzo e Bormio), Livigno “aumento di splendore” (della già Magnifica Comunità di Bormio).
Talora si può ricostruire il nome del popolo insediato nel territorio di un singolo Comune attuale (Piuro, Albosaggia, Tresivio, Tirano e l’insieme della Valmalenco).
E’ possibile che ogni comunità avesse un nome specifico (di cui resta traccia toponimica) del proprio tratto del corso del fiume principale (detto perciò Adda “insieme di corsi d’acqua“).
In breve, la toponomastica preistorica ci dice che la Valtellina e la Valchiavenna sono state antropizzate da Indoeuropei, divenuti i Celti locali e latinizzati col Cristianesimo.

TOPONIMI DI APRICA

Prossima gli 80 anni, Luisa Moraschinelli si è occupata dell’uscita del 34° libro della collana dell’inventario della Società Storica Valtellinese dedicato alla ricerca sui toponimi di Aprica.
«Io come pochi siamo gli ultimi in grado di dare una testimonianza diretta e non per gli studi fatti e per ricerche su toponimi, usi e costumi – afferma Moraschinelli -.
Percorrevo il territorio giorno per giorno, nel lavoro dei campi, nel bosco per la raccolta della legna, dello strame, dei mirtilli o per il pascolo delle bestie.
Quindi conosco il nome di ogni angolo, dunque ritengo importante questo lavoro e sono contenta essere arrivata appena in tempo, con questo progetto, a salvare la memoria storica dal vivo».
Inizialmente Moraschinelli, nel silenzio della sua abitazione a Lugano, ha ripercorso il territorio del mio paese partendo dall’inizio: Pigolane Sant e via via risalendo verso le contrade prima, poi sui versanti, sulle montagne, in Val Belviso, segnando di volta in volta il nome del luogo riaffiorato nitido alla mente.
Terminato questo percorso personale, non si è fidata unicamente della memoria, ma ha interpellato qualche amico: per la zona di Liscedo Agnese Moraschinelli, per Liscidini e dintorni Fiorenzo della Moretta e per il Dosso e versante Mavigna e S.
Pietro, Egidio Negri.
Da notare che la studiosa non ha notato differenze fonetiche fra una contrada e l’altra.
Il territorio d’Aprica non è così esteso come, per esempio Teglio con grandi distanze fra una frazione e l’altra, per cui ci sarà qualche sfumature fra “an sü e an gió” (ovvero Aprica alta e Aprica bassa), ma è minima.
«Non ho la pretesa che questo mio lavoro sia al completo – aggiunge Moraschinelli -, ma ho la coscienza di aver dato testimonianza diretta di memoria storica e spero che i miei compaesani lo accettino come tale e lo conservino per le generazioni che seguiranno, anche se a loro, quelli che ci seguono non è ormai più dato di ammirare il quadro vivente dei campi, che noi avevamo davanti, spazio oggi livellato dal bosco.
Ma ancora una volta è l’occasione di constatare come in natura c’è una compensazione: noi delle generazioni passate avevamo la povertà ma certi piacere offerti dalla natura, quelli che ci seguono non hanno questi piaceri, ma hanno il benessere».
Ecco qualche esempio di toponimi di Aprica.
La “ualmàna” è l’avvallamento saltuariamente percorso da ruscello, che scende dal ròcul, passa sotto la statale, e termina in corrispondenza della strada del sant.
(mani = lamponi).
La “curnascia” è il sentiero che, dalla strada sopra Liscedo, va verso Liscidini.
Frequentatissima negli anni ’50, la via era usata quale scorciatoia da quelli di Liscedo e in particolare, ogni giorno, dai bambini per andare a scuola.
Solo per i funerali si faceva il giro sulla statale.
I “plazzöi” erano i prati della prime case di “Abrìga”, nome con cui si intende l’intero paese di Aprica in forma dialettale.
Con lo “aiàl da salfràch” si intende la valletta erbosa, non troppo ripida che “da li fopi” sfociava alla nascita.
Un posto ameno che invitava alla lunga “pósa” (sosta) e dove i ragazzi sia durante il pascolo sia nel rientro dalla raccolta di legna o di mirtilli sostavano a giocare o a fare una cantata.
Infine la “Ca di Gaetà” è la casa posta sul cucuzzolo del “dòs”, una delle poche staccate dal nucleo.
La sua posizione era anche denominata “bèlauista”.
I ragazzi del dòs si portavano su quegli speroni per ammirare il sottostante piano.

TOPONIMI DI TEGLIO

E’ un lavoro imponente quello che l’équipe di studio che gravita intorno alla biblioteca “Elisa Branchi” di Teglio sta svolgendo da diversi anni per arrivare alla pubblicazione del volume sui toponimi del comune tellino.
Non poteva che essere l’incontro Idevv, svoltosi a Teglio sabato scorso, l’occasione opportuna per fare il punto dello studio, che è ora in fase di revisione e che entro qualche mese potrebbe essere pronto per la pubblicazione.
Ne ha parlato la coordinatrice dell’inchiesta, Augusta Corbellini, affiancata dalla presidente della biblioteca, Maria Rosa Menaglio.
La pubblicazione - che dal punto di vista scientifico si avvale della collaborazione di Gabriele Antonioli, vicepresidente dell’Idevv - entrerà nella collana della Società Storica Valtellinese, che ha già pubblicato 33 quaderni relativi ad altrettanti comuni valtellinesi e valchiavennaschi.
Un contributo nella ricerca è stato dato anche da Antonio Boscacci che, da anni, si occupa per passione di toponomastica e, con generosità, mette a disposizione degli interessati il frutto delle sue raccolte.
Accanto alla rilevazione dei toponimi è da sottolineare l’impegno di Andreina Tidori che ha “sfogliato” faldoni e faldoni di atti notarili all’Archivio di Stato di Sondrio individuando centinaia di citazioni che hanno permesso di ricostruire anche storicamente l’esistenza di determinati toponimi, presenti già a partire dal XIII-XIV secolo.
«La ricerca toponomastica relativa al territorio comunale di Teglio prosegue ormai da oltre tre anni ed ha coinvolto decine di ricercatori tellini del versante retico ed orobico, anziani e meno anziani, cacciatori, agricoltori, appassionati i quali si sono suddivisi la superficie e, capillarmente, hanno registrato tutti i nomi di luogo – spiega Corbellini -.
Il territorio da esplorare è ampio, uno dei più estesi della Valtellina e reca i segni di una forte antropizzazione, a tutti i livelli altimetrici.
Ne consegue una ricchezza toponomastica notevole».
Ad esempio solo il toponimo “ca” è citato oltre 220 volte, ad indicare contrade (ca fregè, ca di scranz), ma anche singoli edifici all’interno delle contrade medesime, oppure sparsi sul territorio.
Solitamente il toponimo “ca” è accompagnato dal nome del proprietario, dal soprannome di famiglia: anche in questo senso la ricerca si rivela assai importante, perché consente di fissare e memorizzare un’onomastica, che, diversamente, sarebbe destinata a scomparire.
Dalla descrizione attenta dei singoli toponimi si possono dedurre anche importanti informazioni relative alla vita civile e religiosa della comunità.
Ampio spazio è lasciato soprattutto alle chiese, chiesuole, santelle, processioni, espressione di una religiosità fortemente radicata e vissuta.
Né meno importanti sono le puntualizzazioni archeologiche (Teglio è  un’area di ritrovamenti arcaici senza pari) curate da monsignor Mario Giovanni Simonelli.
«Di alcune località, oggi ridotte a piccoli nuclei abitati, ma in passato centri rilevanti (è il caso di Granìa o di Nìgula, per citarne due) sono stati registrati anche molti “micro toponimi” ormai desueti, che testimoniano del forte radicamento e del diffuso sfruttamento – prosegue Corbellini -: si tratta in questo caso di riferimenti a tipi di coltivazione (selve, vigne, prati), a conformazioni fisiche (dossi, sassi, fiumi), a manufatti (ponti, mulini) oppure al nome dei proprietari.
Ne esce una fotografia completa e persuasiva».


di Clara Castoldi

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