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Una chiesa in una casa

Una chiesa all’interno di una casa abitata. È la meravigliosa scoperta avvenuta di recente che ha riportato alla luce, è il caso di dirlo, la chiesa di San Francesco a Villa di Tirano. Essa si trova nella casa Favier, posta in posizione elevata, al limitare delle vigne sopra le contrade di Novaglioli e Beltramelli, a due passi dal palazzetto dai tratti architettonici cinquecenteschi, residenza di Bernardo Lambertenghi committente e finanziatore del piccolo tempio del XVI secolo. Lo studio di questa testimonianza di devozione si deve allo storico dell’arte Gianluigi Garbellini che ne ha scritto sui “Quaderni valtellinesi” e ne ha recentemente parlato ad un incontro dell’Unitre a Tirano. Il riscatto del "piccolo gioiello sacro" è avvenuto grazie sensibilità dell'attuale proprietaria, la signora Saveria Favier, che, consapevole dell'importanza, quale documento di fede e di arte, dell'ex oratorio racchiuso tra le mura della sua casa, ne ha curato con mezzi propri il restauro, ne ha ripristinato in modo encomiabile la parte pittorica, riportandola alla luce con l'asportazione di strati di intonaco e di scialbo e ne ha recuperato gli elementi architettonici tra cui, perfettamente integra, l'abside pentagonale, buona parte della navata con la copertura a cassettoni e le mensole di gronda originali.Negli atti della visita pastorale del 1589 di Feliciano Ninguarda si legge che «all'estremità del borgo di Villa sorge una elegante e pregevole chiesa dedicata a san Francesco: è stata recentemente costruita da un nobile e piissimo cittadino di nome Bernardo Lambertenghi a fianco della sua dimora». L'annotazione, insieme ad altre desunte dai documenti d'archivio, ha indotto Gianluigi Garbellini, in occasione della monografia "La collegiata di San Lorenzo e le sue chiese" alla ricerca, se non delle tracce, almeno del sito dove essa si trovava, visto che ormai tutti erano ormai della sua perdita. «Grande è stata invece la sorpresa nel constatare che la chiesetta commissionata più di quattro secoli fa dal Lambertenghi non è affatto scomparsa – afferma Garbellini - e che ancora ben visibile rimane parte del suo apparato pittorico originale: un bene di rilevante interesse culturale e artistico che vale la pena di conoscere». Ma quale la storia del tempio? Nel 1780 il vescovo Mugiasca lamentava la negligenza degli eredi Lambertenghi, tra cui la famiglia Lavizzari, nei confronti della cappella di loro patronato. Il degrado dunque, in atto da tempo e ormai inarrestabile, indusse all'interdizione del culto e determinò l'alienazione dell'edificio.  Nella seconda metà dell'Ottocento l'oratorio, ormai sconsacrato, venne incorporato nella casa di abitazione in costruzione sul sagrato a ridosso della facciata. Non subì la demolizione, ma fu mascherato in modo irriconoscibile con intonaci e tinteggiature per essere adibito a uso civile dalla famiglia Favier che lo aveva acquistato. È stata, in fondo, questa una fortuna per la sopravvivenza del piccolo tempio cinquecentesco, che, pur declassato dal suo ruolo e del tutto mimetizzato nella nuova costruzione, si è mantenuto strutturalmente pressoché intatto.Se oggi nulla rimane della faccia esterna, la sorpresa è all'interno, poiché «nella ristrutturazione della casa, le superstiti strutture del tempio sono state messe in rilievo al pari dei dipinti – riferisce Garbellini -, che, nonostante le lacune, permettono di cogliere la concezione d'insieme dell'apparato decorativo e di constatare la qualità della pittura di chiara impronta cinquecentesca. Ben conservata risulta la parte alta dell'abside pentagonale illuminata da due finestre rettangolari con la volta a spicchi evidenziata dalle sottolineature dipinte dei costoloni. Sul fondo scuro prendono corpo vari putti alati con i simboli della Passione: al centro due con la croce tra la lancia e la spugna innestata su una canna, mentre a destra, uno per spazio, gli angeli-putto porgono la colonna alla quale Cristo fu legato per la flagellazione e le fasce e, infine, il lenzuolo per la sepoltura. Sul lato opposto uno regge la scala e la striscia di tela impiegate nella deposizione dalla croce e l'altro porta il flagello. Sulla sommità del catino, da cui dipartono come raggi i costoloni, è dipinto il "mistico agnello" con la bandiera della Resurrezione». Lo studioso prosegue: «Nelle sottostanti lunette sono presentati gli evangelisti con i loro simboli intenti nella scrittura, mentre sull'intradosso dell'arco trionfale sono raffigurati i profeti con il relativo nome e, sulla chiave, la data di esecuzione dell'affresco 1582. Alla base, fortemente compromessi dall'umidità si intravedono immagini di santi, tra cui sul lato destro san Lorenzo con la palma del martirio, patrono di Villa di Tirano. All'interno dell'abside, che era stata dotata di ancona con il Crocifisso e la statua di san Pietro, come riferisce il vescovo Carafino nel 1629, rimane sulla destra un interessante lacerto dipinto che lascia intuire la scena di un santo (San Francesco) in adorazione del Crocifisso sullo sfondo di un paesaggio montano che potrebbe essere il monte della Verna, dove nel 1224 san Francesco ricevette le stimmate». Quanto all’autore dell’abside, del fronte dell’arco trionfale, del fregio e degli affreschi delle pareti della navata con ogni probabilità si può ipotizzare, per l’attinenza con altre opere valtellinesi, che sia la mano di Cipriano Valorsa. In tal caso si tratterrebbe di una delle migliori opere del pittore di Grosio. 

di Clara Castoldi

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